Startup Nation all’italiana

Nelle Legge di bilancio di prossima approvazione vi è una interessante proposta che mira a far diventare l’Italia una vera Startup Nation

La Legge di Bilancio di prossima approvazione, sta creando grandi aspettative nel mondo delle imprese e “delle partite Iva”, e a parte la ormai conosciutissima proposta di flat tax,  contiene una proposta dell’On. Luca Carabetta, (M5S) vice presidente della commissione Attività Produttive, rivolta alle startup innovative che potrebbe essere il primo germoglio per la nascita di una Startup Nation all’Italiana.

Il problema del capitale di rischio in Italia

Alla Camera dei deputati è stata depositata la richiesta di avviare un’indagine conoscitiva sulla filiera italiana del venture business: la Commissione attività produttive intende comprendere quali siano le motivazioni che ci distanziano dai paesi più avanzati, e come fare per recuperare il gap.

In realtà, indagine a parte, esistono già numerosi fatti, indizi e statistiche che possano disegnare un quadro abbastanza completo del modus operandi dell’ecosistema startup e delle motivazioni dei gap.

Sulla base di statistiche aggiornate al 2017 ed alla prima metà del 2018 e guardando nel dettaglio i numeri relativi agli investimenti in startup  (italiane da parte di investitori prevalentemente italiani) ci si rende conto che la crescita è debole e poco significativa (in relazione ad esempio al Regno Unito) e con imprenditori che continuano a scappare all’estero e investitori che anche nel venture capital adottano gli schemi del capitalismo classico.

Molti post e articoli hanno “festeggiato” la crescita degli investimenti nei primi 6 mesi del 2018 salutando con grande ottimismo i 250 milioni di euro investiti in startup italiane e i 720 milioni raccolti dai fondi e (teoricamente) disponibili per investimenti.

Purtroppo la realtà è che solo la metà di quelle startup hanno raccolto investimenti in Italia, le altre classificate come “italiane” in realtà non lo sono affatto, ovvero sono di italiani fuggiti all’estero che hanno raccolto capitali esteri.

Il quadro si complica ulteriormente se consideriamo che il modello di investimento italiano prevede che già in fase di seed le Corporate e le Big consulting (anche costituite, o socie di maggioranza in Incubatori o Acceleratori) partecipino pesantemente e a peso d’oro le startup con buona pace della autonomia di governance e mantenendo i founder alla fame, o, al meglio alla stregua di impiegati di concetto, insomma tutt’altro che imprenditori!

La proposta: Un Fondo “misto”

La proposta del On. Carabetta è un tentativo di guidare e dare impulso agli investimenti in startup con un intervento pubblico più come guida e stimolo, che in via diretta. L’obiettivo è quello di costituire un Fondo misto in grado di vincere le diffidenze dei piccoli investitori. Tecnicamente, potrebbe non essere un fondo di investimento, piuttosto un vettore pubblico in grado di smuovere capitale di rischio, in cui lo Stato fa da co-investitore, o da garante, così da attrarre capitali italiani (prevalentemente) ed imprese estere. L’obiettivo è quello di arrivare ad una dotazione da tre miliardi.

 I contenuti del Fondo

Oggi il mercato degli investitori istituzionali  è eccessivamente frammentato: i soggetti più piccoli non effettuano investimenti rischiosi, preferendo puntare su quelli sicuri. Molti Enti hanno già manifestato l’intenzione di investire nel futuro del Paese: Enasarco  per esempio, si è già addirittura mossa concretamente in questo senso attraverso importanti variazioni del portafoglio. Come detto ciò che serve ora è una piattaforma pubblica che faccia da garante e da collante.

Ma il capitale di rischio nelle previsioni non dovrebbe essere esclusivamente privato, infatti alla studio della proposta vi è  l’ipotesi di investimenti statali e l’utilizzo di Fondi Europei. Ciò che sembra auspicabile  è un possibile coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti. Del resto, Cdp non è certo nuova in questo genere di operazioni. Ricordiamo che già oggi esiste una collaborazione tra il Fondo Italiano d’Investimento, costituito presso la Cassa Depositi e Prestiti assieme ad Assofondipensione (rappresentante dei fondi pensione negoziali, nata nel 2003 per impulso delle parti sociali dell’impresa e dei lavoratori) che ha come scopo quello di fare arrivare (e far fruttare) il risparmio previdenziale all’economia reale.

Insomma l’obiettivo della proposta é quello di stimolare il sistema, agendo su più fronti per esempio, i fondi Pir, pensati per finanziare le PMI anche non quotate, potrebbero dare un 3% in Venture Capital: parliamo di 300 milioni di euro annui.

Se si considera che in termini di Venture Capital l’Inghilterra nel 2017 ha saputo attrarre 7,5 miliardi e che un buon obiettivo italiano possa essere pari a 3 miliardi grazie all’intervento pubblico il chiaro ed apprezzabile  è quello di avviarci a diventare  una startup nation.

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