Il fenomeno startup. Lo scorso 7 gennaio il Sole24ore pubblica un articolo dal titolo “Undici nuove start up al giorno, Milano traina il record 2021”. Nella lettura dell’articolo oltre al primato di Milano si riportano alcune interessanti statistiche che analizzano il “fenomeno” sotto alcuni stimolanti punti di vista.
Ma lo scenario è davvero tutto così roseo? Ecco il nostro punto di vista
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Il fenomeno startup. Come il “talento del calabrone”
Riprendiamo il titolo di un film del 2020 con l’ottima regia di Giacomo Cimini per intraprendere un’analisi oggettiva del fenomeno.
Secondo quella che è più una leggenda che scienza, il calabrone in relazione alla massa corporea e alla dimensioni delle ali, per la fisica non potrebbe volare, ma vi riesce perché non lo sa. Questa metafora viene spesso utilizzata per motivare a superare i propri limiti, soprattutto quelli mentali.
Ora oltre gli obiettivi motivazionali va detto che la supposta teoria non ha alcun fondamento scientifico in quanto il calabrone (o meglio e precisamente il bumblebee che è cosa diversa) riesce a volare per due semplici motivi:
- Una dinamica differente e più elastica del battito d’ali.
- Un battito d’ali pari a 230 battiti al secondo, molto più veloce di altri insetti di dimensioni minori, addirittura 5 volte superiore a quello di un colibrì.
Eccoci al punto. Il fenomeno delle startup purtroppo non è strutturale o come dire “accompagnato”. Le startup riescono a superare le leggi della fisica o meglio quelle di sistema perché riescono ad essere più veloci ed elastiche della burocrazia e dei sistemi di gestione e pensiero che ancora si continuano ad insegnare nelle Università italiane (anche le più prestigiose e costose).
L’innovazione non è solo intuizione ed inventiva, è anche velocità d’azione.
Il fenomeno startup. Dateci ali più grandi.
Dicevamo del fenomeno “nonostante tutto”.
In questi ultimi anni e in particolare nell’anno appena trascorso abbiamo assistito ad uno scarso e spesso confusionario impegno e ad una scarsa attenzione da parte della politica e delle Istruzioni, che si ostinano a considerarlo ancora un fenomeno passeggero, una moda. A parte qualche attività sporadica di qualche parlamentare che ha condotto iniziative più mediatiche che concrete, il 2021 è stato un vero disastro per le startup. La vicenda più eclatante è stata quella ormai nota del dietrofront sulle costituzioni on line “autonome” in favore del ritorno alle costituzioni notarili. Un pasticciaccio che poteva risolversi in altro modo viste anche le indicazioni della UE ma che di fatto ha visto soccombere ancora una volta l’utenza: le startup.
E che dire della confusionaria normativa sulle detrazioni 50% che dopo l’estenuante attesa del Decreto Attuativo hanno risolto il tutto con una FAQ dandole valore normativo, per di più limitando la detrazione 50% al solo caso dei nuovi apporti ed escludendo quelli effettuati in sede di costituzione.
E infine le vane aspettative poste sulla Legge di Bilancio e sulle misure del PNRR in particolare su quello che da tempo chiediamo e che riteniamo giusto e necessario: una normativa fiscale e contributiva di favore; misure dedicate che abbattano i costi del lavoro e delle assunzioni.
Nulla di nulla!
Il fenomeno startup. Milano Caput Mundi.
I numeri dicono così, ma…
I numeri dell’articolo parlano chiaramente. Milano ha il primato delle startup iscritte al Registro imprese.
A leggerla così si direbbe che Milano è la capitale assoluta delle Startup e dell’innovazione. Vero ma solo in parte.
Certo è indiscutibile che a Milano si sia sviluppato un cosiddetto “ecosistema” di servizi e competenze che di fatto è in grado di fornire conoscenze e supporto adeguati a chi coraggiosamente voglia intraprendere la strada dell’imprenditoria: consulenti specialisti e preparati; incubatori; acceleratori; relazioni, ecc.
Ma vi è anche da citare un realtà sottesa . Molte startup preferiscono semplicemente domiciliarsi a Milano sia per i motivi appena citati sia per motivi di primato di posizionamento “Una startup con sede a Milano, comunicherebbe meglio il proprio standing“.
Non solo. Vi è un’altra importante motivazione: la burocrazia feudale delle CCIAA.
Ne abbiamo già scritto e continuiamo ad incappare in questo assurdo problema.
Nonostante la presenza di guide chiare e precise del Registro Imprese (quello di tutte le Camere di Commercio), note, circolari e pareri del MISE, ci capita spesso di imbatterci in funzionari (e spesso anche dirigenti) di Camere di Commercio che “si inventano” regole nuove o diverse da quelle scritte e valide per tutti, rappresentando di fatto un vero e pesante limite alla nascita di Startup soprattutto in “provincia“.
La CCIAA di Milano (e molte altre in Itala, come ad esempio Taranto, Trieste, Genova, Bologna, Padova, Varese, Lecco, Como,..) può definirsi virtuosa da questo punto di vista. Regole severe, ma certe per tutti. Costanti nel tempo e con disponibilità all’aiuto. Ecco, probabilmente un altro motivo del primato di Milano. Precisiamo, a scanso di equivoci: iscriversi alla sezione speciale delle startup della CCIAA di Milano e tutt’altro che semplice ma la presenza di regole certe e la disponibilità all’aiuto ne fanno un esempio di PA al servizio del cittadino.
Il fenomeno startup. Per noi? No, grazie.
Torniamo infine sulla argomento “perché Milano” in relazione all’ecosistema, in particolare quello delle competenze.
Ci è capitato e ci capita con una frequenza sconcertante di ascoltare o leggere affermazioni del tipo “il mio consulente mi ha sconsigliato…”, “il mio commercialista mi ha detto che non posso essere startup..”, “mi hanno detto che mantenere i requisiti è difficile; è necessario in brevetto; bisogna essere laureati..” E via così.
Dal nostro punto di vista, e lo ribadiamo in maniera forte e decisa, riteniamo eticamente, deontologicamente e moralmente scorretto il comportamento di chi dovrebbe sostenere la crescita e che invece preferisce dare un consiglio sbagliato “per una presunta paura di perdere il cliente” piuttosto che dire semplicemente “non conosco abbastanza l’argomento, ti aiuto a trovare chi può risponderti al meglio”.
E gli organismi deputati a questo tipo di cultura del network ma anche della specializzazione (parliamo degli Ordini Professionali, in particolare dei Commercialisti) continuano a non far nulla: semplicemente, “le startup non esistono”; “non sono meritevoli di attenzione”.
Ma in tutto questo anche l’atteggiamento di alcuni consulenti nel continuare a sostenere che “in provincia non si può fare start up” non più giustificabile, soprattutto nell’era del digitale (ancora più digitale in questi ultimi due anni COVID) e nell’era del mercato globale, delle comunicazioni veloci e del lavoro a distanza.
E infine (per farci voler bene da tutti) le Università. A parte qualche sporadico tentativo di istituire corsi o percorsi per la gestione e conduzione di startup, vi è il nulla assoluto. Si continua a perseverare su percorsi che preparano alle professioni “normali” o alla consulenza delle grandi imprese.
C’è da fare. C’è molto da fare.