Tratto dal libro di Nicola Vernaglione Startupper 10 e lode
In decine di convegni e centinaia di incontri con neo o aspiranti imprenditori, la richiesta, quasi dogmatica, è sempre la stessa: “cosa devo fare per avere successo con la mia impresa e non fallire dopo qualche mese o pochi anni? Come posso ridurre al massimo i rischi di disperdere, in un nulla, le mie limitate risorse ed illimitate aspettative?”
Rispondere a quesiti di questo genere non è mai semplice. Per diversi ordini di motivi. Il primo è naturalmente legato al senso etimologico della parola imprenditore, colui che intraprende un’impresa. In se il termine ha una carica di rischio associato che nulla e nessuno potrà mai ridurre a zero. Certo, si può e deve lavorar per ridurre il rischio ad un minimo accettabile, ma la possibilità di fallire nel proprio intendimento imprenditoriale esiste e la capacità di saper convivere con esso rappresenta certamente una delle caratteristiche principali dell’essere imprenditore. Andando oltre, potremmo dire che anche accettare e riconoscere le lezioni legate ai primi fallimenti sono caratteristiche proprie degli imprenditori. Del resto, le storie delle imprese di successo sono piene di casi in cui i primi tentativi furono fallimentari.
Ognuna delle 370.000 imprese che nasce ogni anno in Italia è una storia a se, ideata, promossa e sviluppata da persone che hanno storie personali, culture di appartenenza, competenze professionali, sensibilità ancestrali, differenti.
Se fosse possibile dare un identico progetto imprenditoriale a persone diverse, i risultati sarebbero certamente differenti, probabilmente contrastanti. Sono le attitudini, le competenze, la passione dei promotori che fanno la differenza, che riescono a trasformare un progetto mediocre in uno vincente, che sanno vedere ed anticipare i problemi più importanti, che intervengono continuamente per correggere piani che, sulla carta, sembravano perfetti.
Team, team, team, ecco una possibile risposta quando mi chiedono cosa deve avere una buona start up per avere maggiori possibilità di successo. Un gruppo di persone coeso, con competenze diversificate, un commitment chiaro e determinato e la voglia di vivere un’avventura imprenditoriale, un’impresa appunto.
Ricordo , una lezione che sentii da un neo imprenditore americano di successo, qualche anno fa: un’ottima idea con un pessimo team sarà un sicuro fallimento, un’idea buona con un buon team potrebbe anche diventare un buon business, un idea mediocre con un team eccellente, sarà sicuramente una buona impresa, perché saranno in grado di migliorarla, di anticipare gli errori e perfezionarla strada facendo.
Troppo spesso si antepone la convinzione di avere “l’idea della vita”, alla consapevolezza che poi realizzarla, passare da idea a materia fisica, è tutt’altra cosa. L’importanza della persona è centrale e sebbene questa considerazione possa sembrare banale, si scontra con un sistema educativo che fa ancora troppo poco per inserire i precetti dell’autoimprenditorialità all’interno dei percorsi scolastici.
E’ fondamentale, accanto agli aspetti teorici, insegnare a fare impresa, dotare le future generazioni di imprenditori degli strumenti più determinanti del “fare business”, come la definizione di studi di fattibilità realistici, la corretta valutazione del potenziale delle proprie idee, la valorizzazione del tempo, l’analisi della concorrenza, la capacità di accedere e gestire le risorse finanziarie
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