La realtà, i fatti e le statistiche disegnano e dimostrano “un sistema start up” molto diverso dallo stereotipo fin troppo cinematografico e fin troppo americano. Ma di questo “il sistema” sembra non (voler) accorgersene.
Il sistema scollegato dalla realtà.
Da quello che si vede o spesso di legge sembrerebbe che il concetto di startup risulti spesso scollegato dal concetto d’impresa. Troppo spesso la startup viene intesa come un gioco (anche di post-it e carte da gioco), una prova, una simulazione didattica, più che una vera azienda in forma di società di capitali (capitali appunto!).
Ad una “startup-gioco” si vende il sogno (o miraggio) di poter ricevere capitali e finanziamenti da parte di Angels, Ventures o attraverso piattaforme crowdfunding. Quello che sfugge è che questa promessa deve passare attraverso vari livelli: il contest (ovvero, la gara; il concorso a premi); i Matching-Day (ovvero i round di incontri in sequenza sfiancante di 5-10 minuti nei quali si dovrebbe riuscire a catturare l’interesse di un potenziale investitore); il percorso di incubazione o accelerazione (ovvero tornare a scuola per almeno 3-6 mesi); la cessione di una parte importante di equity; la creazione di un modello di business non troppo complesso per poter essere compreso dai piccoli investitori che opzionano quote in crowdfunding e che preveda ricavi da subito.
Ovviamente tutto questo potrebbe andar bene se tutte le startup o almeno la gran parte fossero quelle dello stereotipo cinematografico, ovvero fondate (nel classico garage) da giovanotti/e con molte belle idee teoriche; geniali e squattrinati, al punto di fondare una società a “1 euro” (startup-gioco, appunto).
La realtà (italiabna) però è diversa ed è quella che emerge dalla Startup Survey, (la prima indagine nazionale sulle imprese innovative).
Lo startupper italiano è infatti prevalentemente quarantenne, maschio, con una preparazione universitaria di tipo ingegneristico o manageriale, che conosce almeno una lingua straniera e ha aperto la sua impresa (startup-impresa) per realizzare prodotti o servizi innovativi sfruttando le competenze acquisite e restando nella propria regione di riferimento. Si tratta molto più spesso di soggetti prossimi ai 50 anni o ultracinquantenni con un pregresso manageriale e professionale e, in parte, sono persone che preferiscono (fino a pieno compimento del progetto) mantenere il posto di lavoro o la professione anche part-time. Sono le “X generation startup”, ovvero le “startup-impresa”.
Sono tra l’altro startup che mediamente partono già ben capitalizzate (almeno 40 mila euro in equity inziale) avendo la capacità diretta e indiretta (per relazioni e credibilità) di raccogliere capitali iniziali da soggetti privati (non rientranti nei circuiti “del sistema”) che credono soprattutto nelle capacità e nell’esperienza prima che nell’idea e nel business, e disposti ad attendere i giusti tempi per la produzione di ricavi e utili.
Sembra che le X generation non interessino “al sistema”
Ecco l’error 404. Il “sistema”, sembra non accorgersi o non voler accorgersi che la realtà è questa e sembrerebbe ignorare la presenza di questo tipo di startup (seppur prevalente). Perché?
Certo sono startup “scomode”, e poco interessanti, perché formate da soggetti non interessati a percorsi di incubazione, o accelerazione ; ai contest ; poco propensi a cedere equity; non disponibili a far valutare il proprio business da un form o da un junior “Business Analyst” che applica concetti o procedure teoriche di un fresco percorso accademico o del manuale fornitogli.
Di cosa ci sarebbe bisogno per le “x generation startup”
Ai Ventures, operatori del crowdfunding, Angels, si chiede uno sforzo imprenditoriale e manageriale maggiore.
E’ evidente e corretto (in termini di pura efficienza gestionale) affidare la scrematura a percorsi di incubazione o accelerazione esternalizzati presso strutture universitarie o simili, così come affidare l’analisi del business a junior, piuttosto che a contest, ma questo significa perdere l’opportunità di confrontarsi con imprese e imprenditori veri e pronti, interessati ad un rapporto “alla pari” su possibilità di ingresso sostenibili e senza la necessità di seguire gli iter standard attualmente non adatti a questo tipo di startup.
Credo che ne varrebbe la pena visto che sicuramente hanno maggiori percentuali e margini di successo (oltre ad esser statisticamente prevalenti) indipendentemente dal tempo che dedicano inizialmente al progetto perché sono soggetti che possiedono almeno 15 anni di esperienza nel settore e mercato, ed anche se dedicano una sola ora al giorno allo sviluppo questa equivarrebbe a minimo 8 e più ore dedicate da un giovanotto aspirante imprenditore.
Un appello
Da tempo ormai mi dedico quasi esclusivamente a questo tipo di startup, trovandolo un lavoro molto più appassionante e stimolante. Non c’è da spiegare come si conduce un’impresa, come va organizzata l’azienda o come condurre il business, piuttosto ci si confronta, alla pari, sui modelli da adottare anche in termini di rapporti con stakeholder e modalità di crescita ovvero di strategie finanziarie da adottare.
Faccio quindi un appello a tutti gli operatori del sistema a fare uno sforzo nel definire programmi e modalità appositamente pensati per questa tipologia di startup (numericamente prevalenti) mettendo a disposizione la mia conoscenza ed esperienza pluriennale e quotidiana (se gradita).
Nicola Vernaglione