Valutare una startup a zero ricavi

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Valutare una startup a zero ricavi o “pre money” è una operazione che fa rabbrividire molti professionisti ispirati alle tecniche classiche di valutazione d’azienda legate, perlopiù, ai valori di bilancio e in particolare agli assets (sostanzialmente materiali).

Ma le startup, lo sappiamo, non sono “aziende normali” o classiche e pertanto, ad esse, non possono (soltanto) applicarsi principi di valutazione meramente contabili, tanto più che il potenziale di crescita risiede in larga parte nelle condizioni di dimensione e competizione dell’industria e mercato di appartenenza e nella scalabilità e nella forza del team.

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Valutare una startup con approccio patrimoniale

Nell’approccio alla valutazione di una startup in molti hanno l’idea sbagliata che il valore dell’azienda (startup) sia una semplice sommatoria delle “parti che la compongono”, in maniera semplicistica (ci scusiamo per l’estrema semplificazione): attività meno passività. Quindi, ad esempio, il valore di una startup che possiede un bene riportato in bilancio al valore di 300 mila euro e con debiti in sospeso per 50 mila euro  dovrebbe essere di 250 mila euro. Chiamiamo questo approccio “la valutazione basata sugli asset” (prevalentemente immobilizzazioni escludendo altri intagibles).

Perché valutare una startup con il metodo degli asset non funziona

Ci sono molte ragioni che rendono questo metodo non adatto alle startup. Il primo è che, spesso, in fase di avvio, le startup non hanno alcun patrimonio tangibile o al massimo posseggono software e applicazioni web sviluppate internamente o brevetti (oltre al valore ed alle competenze del team), tutti beni immateriali di difficile valutazione contabile o non valutabili contabilmente come gli intagibles della forza del team.

Inoltre, considerare il valore dell’impresa come semplice sommatoria sarebbe limitante (ma questo è insito anche nei principi di valutazione classica, ove si considera il “complesso aziendale”). In particolare, per le startup che non posseggono asset valutati o valutabili contabilmente o bilanci depositati, il valore dell’azienda va considerato come il valore della combinazione di beni materiali e immateriali e fattori interni intagibles (processo organizzativo, qualità dell’idea, lancio del prodotto, completezza del team, competenze, precedenti esperienze imprenditoriali di successo, precedenti esperienze di management, brevettabilità, possesso di altri diritti di privativa, ecc.). La combinazione di questi elementi è ciò che crea valore in quanto è il presupposto per  generare ricavi.

Per essere più chiari rispetto a quanto affermato prendiamo ad esempio un’impresa classicamente fondata sulla vendita o trasferimento di Know how come può essere una società di consulenza. Se, in assenza di bilancio, dovessimo valutarla sulla base degli asset (tangibili o contabilmente valutabili), otterremmo un valore molto basso. In questo specifico caso gli asset valutabili sono solo di supporto (il serviscape) al core business  che (ovviamente) si fonda  nelle capacità e nella esperienza dei partner e dell’organizzazione in genere. E’ in essi che va valutata la capacità di generare ricavi (e profitti), uniti (ovviamente) ad altri intagibles come la reputazione del brand (della società e personale di ognuno dei partner), la presenza sul web, ecc

Estremizzando ancora di più il paradosso (o l’antinomia), pensiamo ad un quadro, magari di un autore emergente. Se dovessimo valutarlo solo sulla base degli elementi tangibili arriveremmo alla conclusione che forse il valore sarebbe di qualche centinaia di euro considerando: i pennelli, la tela, i colori, il telaio e la cornice. (o la lama utilizzata per tagliare la tela).

Evidentemente non è così e non è necessario darne una spiegazione

E i brevetti?

Quando effettuiamo una valutazione di startup ci viene spesso chiesto,  (o confutato) qual è il metodo o meglio criterio (spesso con l’aggiunta di “contabile”) con il quale valutiamo tutti gli elementi sopra citati (intangibles)

Tornado all’esempio precedente (società di consulenza o quadro d’autore) potremmo sicuramente affermare che il valore ex ante è contabilmente indeterminabile. In effetti, il modo migliore per valutare il valore di queste attività è dimostrare quanto siano in grado di generare ricavi o in genere acquisire maggiori quote di mercato, a creare barriere verso la concorrenza e a generare flussi di cassa più elevati in futuro. Oltre ai metodi qualitativi (checklist e balanced scorecard), metodi finanziari come il DCF (flusso di cassa scontato) sarebbero quindi più appropriati in questo caso, poiché tengono conto dell’impatto delle attività immateriali e intangibili direttamente sulle proiezioni finanziarie (ed economiche).

Quindi valutare una startup sulla base degli asset è appropriato?

Dal punto di vista pratico, i metodi di valutazione basati sugli asset hanno un approccio “storico”; riflettono il valore acquisito dell’azienda e non il valore potenziale.

Ciò li rende inadatti per valutare una startup in quanto, gli investitori “scommettono” sul potenziale futuro e sul flusso di cassa futuro atteso, non essendovi perlopiù (e nella gran parte dei casi) un valore storico da considerare

Valutare una startup significa considerarne in maniera combinata, potenziale futuro e rischio di insuccesso, attraverso metodi di valutazione più complessi ed evoluti che tengano in considerazione la combinazione di metodi qualitativi e quantitativi/contabili.

Tornando quindi al paradosso del quadro d’autore, è anche necessario aggiungere che le valutazioni devono e possono farle solo coloro (soggetti terzi) che posseggono qualità professionali ed esperienza tali da ottenere un riconoscimento oggettivo da parte di tutti i destinatari.

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