Work for Equity. Eccoci con il quinto contributo della nostra rubrica “il caffè dell’estate” che ci accompagnerà fino alla prossima settimana. Una rassegna ed una selezione degli articoli più interessanti (secondo i nostri lettori). Con l’approfondimento della scorsa settimana abbiamo chiuso il mini speciale dedicato alle detrazioni trattando l’importantissimo e delicato tema della indicazione corretta della data dell’investimento da riportare nella certificazione da rilasciare agli investitori. Oggi ed in conclusione del nostro caffè dell’estate riprendiamo due contributi molto apprezzati sul tema work for equity cominciando dalla Prestazione e Prestatore
Per chi volesse approfondire con una lettura estiva ricordiamo che sull’argomento è disponibile il nostro e-book di recente pubblicazione
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Work for Equity. L’oggetto della prestazione
Per introdurre il tema dell’oggetto della prestazione sarà utile definire una breve lista di controllo composta dei seguenti punti:
- è una prestazione di “servizi qualificati”?;
- è una prestazione in linea con le attività ed il business model dell’impresa?
- è una attività che rientra nel concetto di “sviluppo competitivo o precompetitivo”?
- vi è coerenza curriculare con l’oggetto della prestazione?
Procediamo quindi a smarcare i punti elencati
Work for Equity. Servizi qualificati
In tema di servizi qualificati ancora una volta ritorniamo sul contenuto dell’articolo 27, comma 4, del Decreto Legge n. 179 del 2012 o meglio alla relazione illustrativa, che sul punto afferma che “… la disposizione in esame, al fine di garantire alle imprese start-up innovative l’accesso a servizi di consulenza altamente qualificati, ivi compresi quelli professionali, codifica il regime di non imponibilità degli apporti di opere e servizi già contemplata dall’Agenzia delle entrate (Circ. 10/E del 16/3/2005) e lo estende anche all’ipotesi in cui gli apporti abbiano ad oggetto crediti maturati a fronte di opere e servizi resi a favore delle suddette imprese. Pertanto, prosegue la relazione illustrativa, tali apporti sono esenti da qualsivoglia imposizione, non assumendo rilevanza fiscale in capo ai soggetti che li effettuano né al momento dell’ultimazione dell’opera o del servizio né al momento della emissione delle azioni, quote ovvero degli strumenti finanziari.”
Ora la questione sta proprio nel definire “il contenuto” del servizio qualificato.
Per aiutarci proviamo a fornire un breve (ma non esaustivo) elenco di servizi annoverabili come qualificati partendo dal presupposto che l’oggetto della prestazione nel modello di work for equity deve essere rappresentato da servizi professionali che possono spaziare in diversi settori strategici per l’impresa innovativa, Ne forniamo qui un breve (e non esaustivo) esempio:
– servizi di consulenza strategica (business model, business plan, ecc.);
– servizi di consulenza legale non ordinaria (contratti, term sheet, partnership, trattative per ingresso investitori, brevetti, marchi, ecc.);
– servizi di consulenza fiscale e amministrativa non ordinari (wealth management, politiche e strategie di bilancio, relazioni d’impatto, bilancio di sostenibilità, ecc.);
– sviluppo software e tecnologia: progettazione e sviluppo di piattaforme digitali, app e infrastrutture IT;
– marketing e comunicazione: consulenza per la definizione di strategie di marketing, gestione dei social media e promozione di eventi;
– digital e web marketing: programmi di digital marketing, quali processi trasformativi e abilitanti per l’innovazione di tutti i processi di valorizzazione di marchi e segni distintivi (c.d. “branding”) e sviluppo commerciale verso mercati;
– consulenza dei processi produttivi innovativi: integrazione delle tecnologie della Next Production Revolution (NPR) nei processi aziendali, anche e con particolare riguardo alle produzioni di natura tradizionale; simulazione e sistemi cyber-fisici; prototipazione rapida; sistemi di visualizzazione, realtà virtuale (RV) e realtà aumentata (RA); robotica avanzata e collaborativa; interfaccia uomo-macchina; manifattura additiva e stampa tridimensionale; internet delle cose e delle macchine; integrazione e sviluppo digitale dei processi aziendali, ecc.
– gestione aziendale: supporto nella gestione finanziaria, amministrativa e nell’ottimizzazione dei processi interni;
– sviluppo del business: rapporti relazionali con partner, investitori, stakeholder, ecc.
– management: attività di temporary management nella direzione di una funzione specifica aziendale;
– consulenza finanziaria: creazione di strumenti di finanza alternativa ed evoluta, quotazione su mercati, creazione di strumenti e supporti per la raccolta di capitali, supporto all’equity crowdfunding, sistemi di gestione aziendale evoluta e coinvolta, ecc.
Risulta quindi evidente dall’elenco appena fornito quale debba essere il contenuto “qualificato” della prestazione o, ancora meglio, quale debba essere la linea di demarcazione che definisce il confine tra esse e le “prestazioni ordinarie”
Work for Equity. La verifica di coerenza con gli obiettivi dell’impresa
Detto dei limiti e contenuti della “prestazione qualificata” occorre poi declinarne il contenuto effettivo della stessa calandosi nell’ambito del programma di sviluppo previsto dall’impresa e rendendo coerente tale definizione “operativa” anche ai fini della durata delle prestazione e dei risultati attesi passando per i “milestone” intermedi.
Vediamo a questo punto un esempio pratico relativamente a questo punto ed al precedente.
Work for Equity. Attività di sviluppo
Innanzitutto è necessario chiarire che la norma richiede che le prestazioni siano di natura “qualificata” senza citare o richiedere che queste rientrino anche nel novero delle attività di sviluppo “competitivo o precompetitivo” e quindi, per le startup e PMI innovative, eleggibili tra i costi riferibili ad uno dei “requisiti qualificati”.
Di fatto, la connotazione di attività, ovvero, servizi di sviluppo diventa interessante oltre che per quanto detto a proposito del requisito qualificante, anche per la possibilità di connotarli quali costi pluriennali (CAPEX) piuttosto che tra i costi operativi (OPEX). Di questo se ne è già parlato con il precedente contributo di Ezio Este.
Ora può tornare utile definire l’ambito del concetto di sviluppo competitivo e precompetitivo al fine di verificare la coerenza della prestazione con detti principi.
Il concetto di sviluppo competitivo e precompetitivo si riferisce a diverse fasi del processo di innovazione e ricerca nell’ambito industriale, con particolare enfasi sulla collaborazione e sulla concorrenza tra aziende. Ecco una spiegazione dettagliata:
Sviluppo precompetitivo:
È lo stadio iniziale della ricerca e sviluppo (R&S), focalizzato su attività fondamentali che non sono ancora direttamente collegate a prodotti o servizi specifici. In questa fase, le aziende possono collaborare per stabilire standard comuni, condividere conoscenze o risolvere problemi tecnologici generici senza un’immediata competizione. Gli obiettivi includono la riduzione dei costi, la minimizzazione dei rischi e la creazione di un terreno comune per affrontare sfide tecnologiche complesse.
Esempio 1: Nel settore farmaceutico, le aziende possono lavorare insieme per sviluppare nuove tecnologie di sequenziamento del DNA o per identificare biomarcatori comuni a più malattie. Ciò permette di avere una comprensione scientifica condivisa prima di focalizzarsi su specifiche terapie.
Esempio 2: Nell’industria automobilistica, diverse case produttrici possono collaborare per stabilire standard di sicurezza per i veicoli elettrici. Questo permette loro di affrontare insieme problemi come l’autonomia delle batterie o l’infrastruttura di ricarica.
Esempio 3: In tutti i settori le aziende possono pianificare il business attraverso l’elaborazione di piani finanziari, business plan e documenti strategici.
Sviluppo competitivo:
Dopo la fase precompetitiva, le aziende entrano nella fase competitiva. In questa fase, le attività di R&S sono direttamente collegate allo sviluppo di prodotti, servizi o soluzioni specifiche. Le aziende cercano di ottenere un vantaggio competitivo sviluppando tecnologie proprietarie, mettendo a punto caratteristiche uniche o migliorando la qualità per conquistare una quota di mercato maggiore.
Esempio 1: Una volta identificati i biomarcatori durante la fase precompetitiva, le aziende farmaceutiche possono sviluppare farmaci specifici e unici per trattare le patologie corrispondenti, puntando ad essere i primi a ottenere l’approvazione normativa.
Esempio 2: Dopo la collaborazione sugli standard per i veicoli elettrici, le aziende automobilistiche possono lavorare sulla creazione di modelli distintivi, offrendo migliori prestazioni, design o funzionalità rispetto ai concorrenti.
Esempio 3: Dopo aver validato il modello di business (in sviluppo precompetitivo) si passa alla progettazione dei prodotti e servizi per il go-to-market.
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Per oggi terminiamo qui. Seguici e resta aggiornato per conoscere il tema del prossimo ed ultimo approfondimento dello “Speciale Estivo”